Questo il principio stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso del titolare di un locale rifiutatosi di versare i contributi dei camerieri all’INPS, ritenendo che le mance obbligatorie non facessero parte del salario. La Suprema Corte precisa che, a differenza delle mance, che per la loro natura aleatoria possono non essere ricomprese nella base imponibile contributiva previdenziale, le percentuali di servizio dei “tavoleggianti” si basano su diversi presupposti e costituiscono forme sostitutive della retribuzione collegate al rapporto di lavoro: essendo vere e proprie forme di retribuzione, sono quindi tassabili.
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n.5520/2001
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE LAVORO
SENTENZA – SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Venezia, con sentenza depositata il 13/2/1998, ha respinto l’appello proposto dalla (omissis) S.r.l. avverso la sentenza pretoriale, che aveva rigettato la domanda avanzata da tale società nei confronti dell’INPS, volta, in via principale, all’accertamento dell’assenza di un qualsiasi obbligo contributivo della società per i c.d. tavoleggianti e alla condanna dell’istituto previdenziale alla restituzione di quanto indebitamente percepito, e, in via subordinata, all’accertamento della misura della contribuzione previdenziale secondo la retribuzione fissa convenzionale.
Il Tribunale in particolare ha condiviso le situazioni del primo giudice sostenendo, con riguardo al rapporto di lavoro dei tavoleggianti, che la sola configurazione logica risultava quella di un rapporto di lavoro ordinario tra la società (omissis) e i camerieri, con corrispettività tra il servizio ai tavoli e la retribuzione, che poteva essere indifferentemente pattuita in misura fissa o percentuale.
Lo stesso Tribunale ha rilevato, con riguardo alla retribuzione imponibile, che la base imponibile ai fini previdenziali era fissata con una norma di legge non derogabile dal contratto individuale o collettivo.
Contro la sentenza ricorre per cassazione la (omissis) con quattro motivi, ai quali resiste l’INPS con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2095 e ss. Cod. civ., artt.269 e ss. CCNL, art. 12 legge n. 153 del 1969, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c..
Secondo la ricorrente l’errore di fondo dell’impugnata sentenza consiste nel considerare le percentuali versate ai camerieri come pagate dal datore i lavoro, laddove gli importi sono corrisposti dal cliente, terzo personaggio del contratto.
Trattasi quindi di un rapporto a tre (triade): in cui il datore di lavoro (omissis) sopporta gli oneri e mette a disposizione dei camerieri c.d. tavoleggianti uno spazio in cui questi svolgono la propria attività e ricevono il compenso dal cliente.
L’azienda s’impegna a corrispondere ai tavoleggianti quanto ritenuto equo dalle organizzazioni sindacali (tredicesima, quattordicesima, TFR ecc.) conteggiato sopra un parametro fisso stabilito per il settore.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione su un punto decisivo, nonché violazione degli artt. 274 ess. CCNL, 1362 cod. civ., 12 legge n. 153 del 1969, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
In particolare viene fatto richiamo all’art. 274 CCNL, laddove si dispone che il tavoleggiante riscuote direttamente dal cliente la percentuale del servizio al momento della presentazione del conto, nonché all’art. 275 CCNL, laddove si stabilisce che quando la percentuale di servizio viene riscossa dal datore di lavoro, dovrà essere corrisposta al personale alla fine di ogni mese, dal che si desumerebbe la qualifica di semplice esattore del datore di lavoro.
Con il terzo e quarto motivo la ricorrente contesta la decisione del Tribunale per aver disatteso le richieste formulate in via subordinata in ordine alla contribuzione convenzionale, in quanto, diversamente operando, l’INPS verrebbe a colpire quote di costi, che nulla hanno a che fare con il lavoro dei tavoleggianti, mentre a norma del contratto collettivo, che non prevede alcuna contribuzione sulla percentuale erogata dal cliente, non può che farsi riferimento alla paga convenzionale determinata dalle organizzazioni sindacali.
Le censure anzidette, che possono essere esaminate congiuntamente data la loro intima connessione, sono prive di pregio e vanno disattese.
Al riguardo va rilevato che, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, nel caso di specie i giudici di merito correttamente hanno riscontrato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, del resto non contestata, tra camerieri c.d. tavoleggianti e la società (omissis), dal che deriva l’applicabilità dell’art. 12 della legge n.153 del1969 circa l’assoggettabilità a contribuzione previdenziale di tutti gli emolumenti percepiti (Cass. 24 settembre 1991, n. 9950 nel senso della omnicomprensività ai fini contributivi previdenziali di tutte le erogazioni ricevute dal lavoratore).
Non è convincente la prospettiva della ricorrente circa l’esistenza nel caso di specie di un rapporto a tre (triade) tra società, camerieri tavoleggianti e clienti, atteso che questi ultimi sono tenuti, come rilevato dai giudici di merito, a pagare la consumazione, comprensiva del servizio, direttamente al titolare dell’esercizio.
Quanto alle percentuali del servizio va osservato che esse costituiscono forme di retribuzione dei camerieri, a nulla rilevando il fatto che possano essere erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, dato il loro stretto collegamento con la prestazione lavorativa, tanto più che l’art. 280 del CCNL prevede per il tavoleggiante l’opzione tra retribuzione fissa e quella percentuale.
Ne può avere alcun significato il richiamo alla disciplina delle mance, le quali per la loro natura aleatoria possono non essere ricompresse nella base imponibile contributiva previdenziale (in questo senso Cass. 4 novembre 1995, n. 11502; Cass. 16 luglio 1992, n. 8598), mentre le percentuali di servizio si basano su diversi presupposti e costituiscono, come già si è detto, forme sostitutive della retribuzione collegate al rapporto di lavoro.
Ciò precisato e puntualizzato, correttamente il Tribunale ha escluso per il calcolo della base imponibile contributiva il riferimento alla retribuzione convenzionale, dovendosi determinare i contributi sugli emolumenti effettivamente percepiti, ivi comprese le percentuali di cui si discute, non rientranti nell’elenco tassativo, di cui all’art. 12 della legge n. 153/1969, riguardanti le attribuzioni patrimoniali non computabili ai fini della retribuzione imponibile.
D’altro canto la retribuzione convenzionale è inapplicabile al caso di specie, poichè, come hanno notato gli stessi giudici di appello, comporta l’utilizzazione di una base di calcolo più ridotta e quindi non garantisce al lavoratore una soglia minima, che può essere derogata dal singolo contratto solo in melius.
Dalla impugnata sentenza risulta, pertanto, ben ricostruita la natura del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti e delle percentuali ricevute dai camerieri tavoleggianti in termini di retribuzione inerente allo stesso rapporto, donde la loro assoggettabilità a contribuzione previdenziale ai sensi dell’anzidetto art. 12 della legge n. 153 del 1969.
In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e per l’effetto l’impugnata sentenza va confermata con la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in £ 18.000, oltre £ 4.000.000 per onorario.
Roma, 2 febbraio 2001.
Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2001.
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