Locomotiva...
La locomotiva tedesca senza vagoni
Stefano Rizzo, 22 luglio 2011, 17:52
Mondo ed economia La Germania sta diversificando sempre più i propri investimenti e scambi commerciali verso i paesi dell'Europa dell'Est e verso i mercati asiatici. Gli investimenti delle aziende tedesche nei principali paesi europei e negli Stati Uniti sono diminuiti in media del 10 per cento con punte in meno del 17 per cento in Italia e del 33 nel regno Unito, mentre sono raddoppiati in Russia e aumentati di almeno la metà in Cina e in Brasile. E la tendenza è destinata a continuare
Dopo le ristrutturazioni e le riforme degli anni '90 la Germania unificata ha ricominciato a crescere e la sua crescita ha rappresentato quel traino che in precedenza era stato degli Stati Uniti. Circa il 40 per cento delle esportazioni tedesche sono dirette verso i paesi dell'Europa occidentale così come una quota analoga delle importazioni. La conseguenza è che, stante il volume dell'economia tedesca, la prima in Europa e la quinta nel mondo, quando cresce la Germania crescono tutti i paesi europei. E questo vale particolarmente per la Francia, per il Belgio, l'Olanda, il Regno Unito e l'Italia che sono tra i suoi principali partner commerciali in Europa.
Adesso questo meccanismo, che per anni ha costituito il motore dell'intera area economica europea, sembra entrato in crisi. Ormai da due anni la crescita tedesca superiore al 3 per cento del PIL non ha stimolato un'analoga crescita delle economia europee, che ristagnano intorno all'uno per cento. La ragione è che la Germania sta diversificando sempre più i propri investimenti e scambi commerciali verso i paesi dell'Europa dell'Est e verso i mercati asiatici. Negli ultimi venti anni le esportazioni in Europa sono aumentati dell'80 per cento, mentre in Russia e in Polonia sono più che raddoppiati e in Cina sono sestuplicati. Gli investimenti delle aziende tedesche nei principali paesi europei e negli Stati Uniti sono diminuiti in media del 10 per cento con punte in meno del 17 per cento in Italia e del 33 nel regno Unito, mentre sono raddoppiati in Russia e aumentati di almeno la metà in Cina e in Brasile. E la tendenza è destinata a continuare.
Il significato di tutto ciò è semplice e aiuta anche a capire la decisione presa a Bruxelles ieri: la Germania ha finito col fare buon viso al cattivo gioco europeo perché in termini economici l'Europa conta per lei di meno e conterà sempre di meno nei prossimi anni. I mercati di investimento per le sue aziende e le sue banche saranno sempre di più quelli est-europei e asiatici. Saranno questi e non l'Europa a costituire in futuro il motore della sua economia. Staccati i vagoni europei, la locomotiva tedesca correrà più veloce sulle pianure dell'Asia senza doversi preoccupare troppo dei debiti del vecchio continente.
E PARTE PER UN LUNGO VIAGGIO !!!!! E' PRORPIO COSI' CARO AMICO !!!!!!!!!!!!!!! E NOI ASPETTIAMO CHE LA LEGA STACCHI LA SPINA AL VECCHIO SILVIO CHE NON SA PIU' CHE PESCI PRENDERE !!!! AIUTO FATEMI SCENDERE !!!! CIAO CIAO [quote=k.bellin]
La locomotiva tedesca senza vagoni
Stefano Rizzo, 22 luglio 2011, 17:52
Mondo ed economia La Germania sta diversificando sempre più i propri investimenti e scambi commerciali verso i paesi dell'Europa dell'Est e verso i mercati asiatici. Gli investimenti delle aziende tedesche nei principali paesi europei e negli Stati Uniti sono diminuiti in media del 10 per cento con punte in meno del 17 per cento in Italia e del 33 nel regno Unito, mentre sono raddoppiati in Russia e aumentati di almeno la metà in Cina e in Brasile. E la tendenza è destinata a continuare
Dopo le ristrutturazioni e le riforme degli anni '90 la Germania unificata ha ricominciato a crescere e la sua crescita ha rappresentato quel traino che in precedenza era stato degli Stati Uniti. Circa il 40 per cento delle esportazioni tedesche sono dirette verso i paesi dell'Europa occidentale così come una quota analoga delle importazioni. La conseguenza è che, stante il volume dell'economia tedesca, la prima in Europa e la quinta nel mondo, quando cresce la Germania crescono tutti i paesi europei. E questo vale particolarmente per la Francia, per il Belgio, l'Olanda, il Regno Unito e l'Italia che sono tra i suoi principali partner commerciali in Europa.
Adesso questo meccanismo, che per anni ha costituito il motore dell'intera area economica europea, sembra entrato in crisi. Ormai da due anni la crescita tedesca superiore al 3 per cento del PIL non ha stimolato un'analoga crescita delle economia europee, che ristagnano intorno all'uno per cento. La ragione è che la Germania sta diversificando sempre più i propri investimenti e scambi commerciali verso i paesi dell'Europa dell'Est e verso i mercati asiatici. Negli ultimi venti anni le esportazioni in Europa sono aumentati dell'80 per cento, mentre in Russia e in Polonia sono più che raddoppiati e in Cina sono sestuplicati. Gli investimenti delle aziende tedesche nei principali paesi europei e negli Stati Uniti sono diminuiti in media del 10 per cento con punte in meno del 17 per cento in Italia e del 33 nel regno Unito, mentre sono raddoppiati in Russia e aumentati di almeno la metà in Cina e in Brasile. E la tendenza è destinata a continuare.
Il significato di tutto ciò è semplice e aiuta anche a capire la decisione presa a Bruxelles ieri: la Germania ha finito col fare buon viso al cattivo gioco europeo perché in termini economici l'Europa conta per lei di meno e conterà sempre di meno nei prossimi anni. I mercati di investimento per le sue aziende e le sue banche saranno sempre di più quelli est-europei e asiatici. Saranno questi e non l'Europa a costituire in futuro il motore della sua economia. Staccati i vagoni europei, la locomotiva tedesca correrà più veloce sulle pianure dell'Asia senza doversi preoccupare troppo dei debiti del vecchio continente.
Un mese fa, il primo ministro della Cina Wen Jiabao si è presentato a Berlino, per una tornata di colloqui politico-economici, con un seguito formato da 13 ministri e 300 manager. E più o meno la stessa cosa ha fatto, una settimana fa, il presidente russo Dmitrij Medvedev. Una pompa che la dice lunga, non solo sugli interessi della Cina e della Russia ma sulle nuove convenienze della Germania.
Secondo i dati forniti dalla stessa Bundesbank (la Banca centrale della Germania), la quota delle esportazioni tedesche verso il resto dell’area Euro è calata dal 43% del 2008 al 41% del 2010, mentre quella verso i Paesi dell’Asia è cresciuta dal 12% del 2008 al 16% del 2010. Già oggi, il maggior mercato mondiale delle automobili Volkswagen è la Cina, e di questo passo presto lo sarà anche per Mercedes e Bmw.
Nel 2010 la Germania ha avuto una crescita record rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Qualche dato:
- Prodotto interno lordo: + 3,6%
- esportazioni: + 14,2%
- investimenti diretti all’estero: + 9,4%
- consumi privati: + 0,5%
- occupazione: + 0,5%.
Insomma, non solo la Germania è la solita “locomotiva d’Europa”. Ma è anche l’unico Paese in grado di spendere ed investire, ed è quindi decisivo per il Continente dove, quando e come finiranno i suoi quattrini. Purtroppo non c’è di che essere ottimisti. Le esportazioni italiane verso la Germania sono calate, tra il 2008 e il 2010, di ben 3,2 miliardi di euro.
Non è un problema solo nostro. L’anno scorso la Germania ha investito in Francia (suo tradizionale primo partner commerciale) ancora molto più di quanto abbia investito in Cina: 91 miliardi contro 54. Ma la tendenza è a colmare il buco, e piuttosto in fretta: nel 2010 le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute del 44%, contro solo il 12% di quelle verso la Francia, a dispetto delle relazioni privilegiate che intercorrono tra i due Paesi europei, accomunati da secoli di vicinato e dalla comune appartenenza al nocciolo fondatore dell’Unione Europea. L’anno “storico”, comunque, è stato il 2009, quando la la Germania, per la prima volta nella sua lunga storia, ha investito più in Cina (11,6 miliardi di euro, con un’impetuosa crescita del 50% rispetto al 2006) che in Francia.
Anche in questo caso, comunque, la Cina non è l’unica destinazione privilegiata del surplus economico tedesco. Ecco in sintesi l’andamento degli investimenti diretti della Germania all’estero nel periodo 2006 – 2009:
- Russia: + 132,6%
- Cina: + 51,5%
- Brasile + 35,9%
- Giappone + 11,2%
- Polonia + 5,9%
- UNIONE EUROPEA: + 4,3%
- Spagna: – 10,2%
- Francia: – 10,6%
- Usa: – 15,3%
- Italia: – 17,6%
- Gran Bretagna: – 33,4%.
La locomotiva tedesca, quindi, punta decisa sull’Asia. E oltre che in economia, le conseguenze si vedono in politica. La cancelliera Merkel, meno preoccupata di un tempo degli alleati in Europa, si è scontrata con Sarkozy e la Francia, si è lavata le mani della crisi della Libia, ha minacciato di abbandonare la Grecia al suo destino ed è stata l’ultima a cedere sul nome di Mario Draghi come guida della Banca centrale europea. Vantaggi non secondari di un sistema-Paese che nel 2009 lamentava la “peggior crisi del dopoguerra” ma nel 2010 era già tornato a macinare profitti.
E’ naturale che in tempi di confusione e incertezza si cerchi di guardare avanti, di prevedere come sarà il mondo di domani. Particolarmente interessante, da questo punto di vista, è la serie di studi e rapporti che PwC (PricewaterhouseCoopers, una delle più grandi società di consulenza economica e finanziaria) dedica al “Mondo nel 2050″. Il più recente s’intitola The accelerating shift of global economic power ed è concentrato sui rapporti di forza che nel 2050 si saranno creati tra le attuali potenze economiche e quelle oggi emergenti.
Pwc ha usato i dati della Banca Mondiale e li ha elaborati in modo da ottenere la Purchasing power parity tra i diversi Paesi. Si ragiona, insomma, a parità di potere d’acquisto, bilanciando lo stato di salute delle diverse economie. La prima constatazione è che il Prodotto interno lordo dei Paesi del G7 (Francia, Germania, Giappone, Italia, Canada, Gran Bretagna e Usa) in questi anni è stato rapidamente avvicinato da quello dei Paesi del cosiddetto E7 (Brasile, Russia, India, Cina, Messico, Indonesia e Turchia). Il sorpasso è alle porte ed è previsto intorno al 2020. Per dare un’idea del rivolgimento: nel 2007, il Pil dei G7 (sempre a Parità di potere d’acquisto) era del 60% più grande di quello degli E7, mentre l’anno scorso la differenza era già precipitata al 35%. Intorno al 2030, secondo le proiezioni di PwC, il Pil degli E7 sarà del 44% più grande di quello dei G7, per diventare addirittura il doppio intorno al 2050.
Misurate sempre con il criterio del Pil (dati 2009 della World Bank), le economie mondiali dettano oggi la seguente classifica:
- Usa (Pil di 14.256 miliardi di dollari)
- Cina (8.888)
- Giappone (4.138)
- India (3.752)
- Germania (2.984)
- Russia (2.687)
- Gran Bretagna (2.257)
- Francia (2.172)
- Brasile (2.020)
- Italia (1.922)
Nel 2050 la graduatoria, secondo lo studio PwC, avrà cambiato radicalmente volto. Ecco come:
- Cina (proiezione del Pil: 59.475 miliardi di dollari)
- India (43.180)
- Usa (37.876)
- Brasile (9.762)
- Giapppone (7.664)
- Russia (7.559)
- Messico (6.682)
- Indonesia (6.205)
- Germania (5.707)
- Gran Bretagna (5.628).
In quello scenario l’Italia risulterà retrocessa al 15° posto, la Francia all’11° (tallonata dalla Turchia), il Canada al 16° (è 14° oggi), la Spagna passerà dal 12° posto attuale al 18°.
Colpisce, naturalmente, l’ipotesi che gli Usa siano superati non solo dalla Cina ma anche dall’India. Lo studio PwC mette in evidenza un particolare, nella competizione Usa-Cina, che dovremmo seriamente considerare anche noi italiani. Fino al 2020 la rimonta cinese andrà a passo svelto, per poi rallentare in seguito a causa dell’invecchiamento della popolazione, causato dalla “politica del figlio unico” che la Cina pratica da decenni. Il sorpasso, in ogni caso, dovrebbe avvenire intorno al 2030. L’India otterrebbe lo stesso risultato quindici anni dopo, nel 2045. Da non perdere, infine, il “calendario” dei sorpassi tra le vecchie e nuove potenze economiche. Restiamo all’Italia: nel 2019 dovremmo essere superati dal Messico, nel 2030 dall’Indonesia, nel 2033 dalla Turchia.