La voglia tormentata...
La voglia (tormentata) di crescere in Italia
Storie di chi vuole «segnare una differenza»
e cambiare «almeno il pezzo di mondo attorno a sé»
I GIOVANI, IL LAVORO LE SCELTE
La voglia (tormentata) di crescere in Italia
Storie di chi vuole «segnare una differenza»
e cambiare «almeno il pezzo di mondo attorno a sé»
MILANO - «La cosa importante per me è segnare sempre una differenza» disse lei. «Insomma, cambiare qualcosa, capisci?». Sono le prime parole di Emma Morley in Un giorno, romanzo-viaggio dalla giovinezza all’età adulta firmato dal britannico David Nicholls. In Italia il libro è diventato negli ultimi mesi un bestseller. Ma per noi, i cosiddetti «giovani» — chi scrive è nata nel 1982 —, immaginare nel nostro Paese una crescita personale o cambiamenti collettivi non è altrettanto scontato.
BLOCCATI - Già emarginati dalla politica — under 35 solo il 5,6% dei parlamentari eletti nell’ultima legislatura — anche nel lavoro i ragazzi sperimentano una realtà asfittica e bloccata. Tre su dieci sono disoccupati, secondo le stime Istat relative allo scorso novembre. Oltre 2,5 milioni i precari nel terzo trimestre del 2010. Scarsa la mobilità sociale: «Luogo di nascita e caratteristiche dei genitori continuano a pesare molto più delle qualità personali» ha denunciato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. E anche chi ha ricevuto in sorte le possibilità (e le capacità) di una formazione di alto livello, e al momento lavora, rischia di sentirsi frustrato e percepito più come un problema che una risorsa. «Vai all’estero», si sente ripetere di frequente. Meritocrazia, rapidità di carriera, stipendi più alti, incarichi adeguati alla propria preparazione, flessibilità piuttosto che precarietà, le principali attrattive.
Liliana Grassi
RESTARE - Eppure non tutte le menti brillanti se ne vanno (o possono andarsene). E restano anche loro qui, a fare i conti con un’immobilità che può minacciare persino la vita privata e la circolazione delle idee. «Una realtà "piatta" come la nostra fa franare tutti i soggetti presenti e in particolare la loro capacità e il loro vigore» avverte il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2010. «Non veniamo trattati come adulti, non ci chiamano "uomini" e "donne" ma "ragazzi". E chi è più originale rischia di essere additato come strano o pazzo» osserva Liliana Grassi, 29 anni, spezzina, laurea in Lettere e dottorato alla Normale di Pisa, ora in cerca di una collocazione universitaria. All’estero però non vorrebbe andare: «Dall’Italia ho ricevuto molto, soprattutto per la mia formazione. Mi piacerebbe contribuire a renderla un Paese migliore». Come lei, molti altri «cervelli» che hanno deciso di restare. Convinti nella maggior parte dei casi che spetti alla politica intervenire sulle emergenze — come il mercato del lavoro, per l’appunto —, individuano tuttavia nella creatività, nello spirito imprenditoriale, nella solidarietà sociale e nella necessità di fare rete, alcune strategie da cui ripartire.
Andrea Rizzi
CAMBIAMENTO - Andrea Rizzi, 31 anni, di Follonica, fisico al Politecnico federale di Zurigo, impegnato a Ginevra in uno degli esperimenti dell’acceleratore del Cern, rientrerà in Italia grazie al programma per giovani ricercatori «Rita Levi Montalcini», finanziato dal ministero dell’Istruzione. «Tornare può voler dire una carriera più lenta e incerta ma credo ne valga la pena». Per la qualità della vita e delle relazioni umane. Ma anche per cercare di «aggiustare» il Paese: «In un generale clima di omologazione, la creatività e l’arte di arrangiarsi tipiche degli italiani possono diventare un punto di forza. È importante però nutrirle moralmente e culturalmente perché non degenerino in esercizio della furbizia. Sarebbe anche importante, per la nostra generazione, tornare a indignarsi per le ingiustizie in ogni loro forma, smettere di considerarle inevitabili».
Silvia Giuliani e Alessandro Pradelli
INIZIATIVA - Puntare sulla cultura la scommessa, in maniera diversa, di Alessandro Pradelli, 26 anni, torinese, e di Silvia Giuliani, 30, maceratese. Il primo, ingegnere, ha coniugato imprenditoria e narrativa nell’iniziativa editoriale «Progetto Letterario Alga». «Insieme con altri cinque giovani, sono riuscito a vendere libri a tre euro — racconta —. Un modo per incentivare la lettura e promuovere lo spirito critico che spesso manca nel Paese». Silvia, invece, insegna latino e greco in un istituto paritario di ispirazione francescana, nel fiorentino. Nonostante la laurea e il dottorato con il massimo dei voti, ha trovato sbarrate le porte dell’accademia e della scuola pubblica. Ma proprio nell’attuale realtà in cui lavora è riuscita a scoprire «il valore del produrre e trasmettere autentica conoscenza». «In Italia esistono molte realtà associative simili al mio istituto e credo che possano giocare un ruolo importante nella formazione delle nuove generazioni», osserva.
Fabio Oliva
«RETE» - Promuovere questa capacità di associarsi anche tra i giovani è, d’altra parte, una delle strade intraprese dai ragazzi italiani più impegnati nel cambiamento. Ne è un esempio Rena, Rete per l’eccellenza nazionale, gruppo indipendente e no-partisan nato con l’obiettivo di rendere l’Italia «un Paese aperto, responsabile, trasparente ed equilibrato». «Per riuscirci — spiega Fabio Oliva, uno dei fondatori, funzionario Onu di 32 anni che lavora a Torino — cerchiamo di unire le nostre competenze e metterle al servizio di specifici progetti». Free as the web e (In)formiamoci!, alcune delle iniziative in corso: volta a promuovere la libertà di Internet la prima, destinata ai ragazzi delle superiori la seconda. «Incontriamo gli studenti — spiega Fabio — per mettere a disposizione le nostre esperienze, per incoraggiarli a rischiare e a realizzarsi». A «essere coraggiosi, osare, lasciare il segno», come insiste Emma Morley nel primo capitolo di Un giorno, intitolato Il futuro. «Non proprio per cambiare il mondo. Ma almeno il piccolo pezzo intorno a sé».
Alessia Rastelli
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Ogni volta che leggo articoli e testimonianze sul tema lavoro in Italia e all'estero noto - indipendemente dal giornale e da chi scrive - una connotazione negativa per chi decide di andare a vivere all'estero come se si commettesse un peccato, come se fosse un tradimento. Un esempio su tutti e' il marchio "fuga di cervell"i (brain drain). Questo approccio e' figlio di un paradigma superato ed e' ora che il problema venga affrontato in maniera contemporanea. Nell'era della globalizzazione e dell'high tech - all'alba del 2011 - un ragazzo decide di scegliere il proprio posto di lavoro non in funzione di dove si trovi ma di quello che gli viene offerto. Se l'offerta migliore arriva dall'estero non cambia nulla dovrebbe accettare e basta. Chi lavora all'estero in una posizione importante spesso aiuta molto di piu' l'Italia dei suoi connazionali che se ne stanno senza arte e ne parte in madrepatria a lamentarsi. Ci sono tantissime posizioni chiave all'estero - in politica, nelle NGO e nelle aziende private - che se fossero coperte da esperti e competenti Italiani l'Italia tutta insieme non potrebbe che guadagnarci. Inoltre di fronte agli oltre 40 anni di vita lavorativa media di un lavoratore Italiano cosa sono 5 - 7 anni passati all'estero? La scelta non e' irreversibile e uscire dal guscio consente di aprire gli occhi. Sveglia ragazzi!!!! [40]
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come al solito gli italiani all0estero conosco la situazione italiana meglio di noi che viviamo qua ciao!! [4]
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