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Infelicitá

(@fabrizio-bellini)
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Bradley Cooper in Limitless

 
apr
01

Come riuscire a fare i conti con la nostra "inaudita infelicità"?

Il  decalogo dell'infelicitá(andate al punto 10)


L’infelicità non è una malattia da curare. Eppure cinema e letteratura, periodicamente, provano ad esorcizzarla, alimentando la suggestione  di un mondo libero e felice, risanato.  Poi la realtà ci rimanda immagini diverse: le facce stravolte degli immigrati in fuga dal Nordafrica, lo strazio composto della comunità giapponese, una quotidianità per tutti più difficile e incerta.

Penso che ciascuno costruisca la propria vita attorno ad un unico obiettivo (che appare, non appena si gratta un poco la superificie): non soffrire. A volte ci si riesce, troppe volte no. Voi come riuscite a fare i conti con la nostra, nostra di uomini, “inaudita infelicità”

1)      L’infelicità non è un accidente, è un destino

2)      Tutti gli uomini sono infelici

3)      C’è chi se ne ricorda sempre, in ciascun istante della propria vita, e chi riesce a dimenticarsene, a intervalli più o meno lunghi

4)      Come reazione ad uno stato di infelicità e di prostrazione il cervello produce sostanze consolatorie, spesso proteine, che hanno lo scopo di riportare equilibro. Queste sostanze confluiscono nel circuito della dopamina, o circuito della soddisfazione del desiderio. Il circuito non lavora con la stessa efficacia in tutti gli uomini. Il perché è ancora senza risposta

5)      L’infelicità ci duole, ma ci spinge. Così come uno stato di moderata soddisfazione, seppure intermittente, è funzionale alla nostra capacità di affrontare le vicissitudini della vita, che non sono tutte invariabilmente positive, così la infelicità è un rinforzo di motivazione. Il suo ruolo fisiologico, quindi evolutivo, è innegabile

6)      Esistono due tipi di infelicità: quella che ha un motivo reale e quella che non ha alcun motivo. La prima ci accomuna agli animali, la seconda non ha alcun antefatto evolutivo: è “tutta nostra”

7)      Non esiste né esisterà mai un gene della infelicità (o della felicità). Piuttosto quindicimila, ventimila geni. In seicento milioni di anni di evoluzione dei vertebrati, la natura ha imparato questo: le funzioni più importanti per la vita è bene distribuirle su un imponente “parco geni” altrimenti chi nasce con il gene “sbagliato” finisce subito in fuorigioco

8)      La infelicità è frutto della ragione e della capacità di ricordare: deriva dal confronto fra obiettivi e raggiungimenti

9)      Il contraltare della infelicità è lo spirito vitale, l’attaccamento alla vita. Non c’è nessun motivo razionale per vivere: la ragione ci aiuta, ma non ci motiva a vivere. Noi viviamo perché siamo animali e il perseguimento della sopravvivenza è il primo e ultimo obiettivo reale, anche se generalmente inconsapevole, di ogni essere vivente

10) Che l’evoluzione biologica possa cambiare questo stato di cose è altamente improbabile: se ne riparlerà fra centinaia di migliaia di anni. Nel frattempo, più che la medicina possono le “droghe sociali”. Come diceva Ortega y Gasset: nessuno, se totalmente assorbito in un’occupazione, può sentirsi infelice

Citazione
Topic starter Pubblicato : 02/04/2011 08:31
(@pinos58)
Membro Registered

SECONDO ME L'INFELICITA' LA SENTI SOPRATTUTTO ..........QUANDO TI MANCANO I SOLDI !!!!!!!

O NO ????????????????

INTERESSANTE ARTICOLO !!!!!

CIAO CIAO

PINO[quote=k.bellin]

Bradley Cooper in Limitless

 
apr
01

Come riuscire a fare i conti con la nostra "inaudita infelicità"?

Il  decalogo dell'infelicitá(andate al punto 10)


L’infelicità non è una malattia da curare. Eppure cinema e letteratura, periodicamente, provano ad esorcizzarla, alimentando la suggestione  di un mondo libero e felice, risanato.  Poi la realtà ci rimanda immagini diverse: le facce stravolte degli immigrati in fuga dal Nordafrica, lo strazio composto della comunità giapponese, una quotidianità per tutti più difficile e incerta.

Penso che ciascuno costruisca la propria vita attorno ad un unico obiettivo (che appare, non appena si gratta un poco la superificie): non soffrire. A volte ci si riesce, troppe volte no. Voi come riuscite a fare i conti con la nostra, nostra di uomini, “inaudita infelicità”

1)      L’infelicità non è un accidente, è un destino

2)      Tutti gli uomini sono infelici

3)      C’è chi se ne ricorda sempre, in ciascun istante della propria vita, e chi riesce a dimenticarsene, a intervalli più o meno lunghi

4)      Come reazione ad uno stato di infelicità e di prostrazione il cervello produce sostanze consolatorie, spesso proteine, che hanno lo scopo di riportare equilibro. Queste sostanze confluiscono nel circuito della dopamina, o circuito della soddisfazione del desiderio. Il circuito non lavora con la stessa efficacia in tutti gli uomini. Il perché è ancora senza risposta

5)      L’infelicità ci duole, ma ci spinge. Così come uno stato di moderata soddisfazione, seppure intermittente, è funzionale alla nostra capacità di affrontare le vicissitudini della vita, che non sono tutte invariabilmente positive, così la infelicità è un rinforzo di motivazione. Il suo ruolo fisiologico, quindi evolutivo, è innegabile

6)      Esistono due tipi di infelicità: quella che ha un motivo reale e quella che non ha alcun motivo. La prima ci accomuna agli animali, la seconda non ha alcun antefatto evolutivo: è “tutta nostra”

7)      Non esiste né esisterà mai un gene della infelicità (o della felicità). Piuttosto quindicimila, ventimila geni. In seicento milioni di anni di evoluzione dei vertebrati, la natura ha imparato questo: le funzioni più importanti per la vita è bene distribuirle su un imponente “parco geni” altrimenti chi nasce con il gene “sbagliato” finisce subito in fuorigioco

8)      La infelicità è frutto della ragione e della capacità di ricordare: deriva dal confronto fra obiettivi e raggiungimenti

9)      Il contraltare della infelicità è lo spirito vitale, l’attaccamento alla vita. Non c’è nessun motivo razionale per vivere: la ragione ci aiuta, ma non ci motiva a vivere. Noi viviamo perché siamo animali e il perseguimento della sopravvivenza è il primo e ultimo obiettivo reale, anche se generalmente inconsapevole, di ogni essere vivente

10) Che l’evoluzione biologica possa cambiare questo stato di cose è altamente improbabile: se ne riparlerà fra centinaia di migliaia di anni. Nel frattempo, più che la medicina possono le “droghe sociali”. Come diceva Ortega y Gasset: nessuno, se totalmente assorbito in un’occupazione, può sentirsi infelice

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Pubblicato : 03/04/2011 13:55
(@fabrizio-bellini)
Membro Registered

In sintesi (estrema): negli anni Settanta, gli studi sulla condizione di benessere, di armonia con se stessi e il mondo, dimostrano che il grado di felicità di un Paese non ha nulla a che fare con gli indici della ricchezza (il Pil, il Prodotto interno lordo). Negli anni Novanta, l’economista britannico Andrew Clark studia 10 mila individui e riesce a isolare “la radice” della felicità. Non è il lavoro o il denaro, non il fatto di essere maschi o femmine, di essere single o sposati, con o senza figli. E’ l’età che determina il nostro grado di soddisfazione. E quale età? Dai 30 anni fino a tutti i 40 si scende in palude, a 49 si tocca il fondo del pozzo triste, a 50 si comincia a risalire, a 60 ci attende un’estasi esistenziale.

Sarebbero questi i famosi “migliori anni della nostra vita” che cantava Renato Zero?

Persino Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia 2001, sembra credere alla bontà della midlife:

Credo effettivamente che quando siamo giovani, pienamente attivi, entriamo in un rapporto ansioso con ciò che vogliamo diventare. Facciamo scelte azzardate per insicurezza. Quando raggiungiamo la metà della nostra vita professionale, familiare, patrimoniale sappiamo più o meno dove andiamo. E anche se ci capita di cadere riusciamo a rialzarci e ripartire

Sembra di capire che la chiave per aprire la porta di quella U esistenziale è una antica moderna saggezza. Che ci fa essere contenti, se non proprio felici, di quello che siamo e saremo. Una forma di lucidità che ci libera dall’ansia dei 30-40 e ci conforta mentre guardiamo a quella fetta intatta di vita buona - se avremo come dicono piene risorse fisiche e psichiche – che ci attende su una tavola che noi ci siamo apparecchiati nel tempo.

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Topic starter Pubblicato : 04/04/2011 07:35
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