ECONOMIA
Previsioni per un anno con poco cibo
- 14 febbraio 2011
- 14.58
Michael Klare, TomDispatch, Stati Uniti
L’aumento dei prezzi dei generi alimentari e le catastrofi climatiche minacciano la stabilità mondiale.
Prepariamoci a vivere un anno difficile. L’aumento dei prezzi, le tempeste, la siccità, le inondazioni e altri eventi climatici estremi metteranno a dura prova il tessuto della società globale, provocando disordini e caos politico.
Cominciamo da un semplice dato di fatto: i prezzi dei prodotti alimentari di base si avvicinano o addirittura superano i valori massimi raggiunti nel 2008, quando scoppiarono rivolte in tutto il mondo. Secondo gli esperti del settore alimentare e di quello energetico, il 2011 sarà un anno rischioso, e così anche il 2012, il 2013 e quelli successivi.
Se all’impennata del costo del grano, risorsa fondamentale per la sopravvivenza di gran parte della popolazione a basso reddito, aggiungiamo un aumento del prezzo del petrolio (ancora una volta su livelli che non si vedevano dal 2008), ce n’è abbastanza per temere un arresto della flebile ripresa economica. L’aumento dei prezzi energetici non fa che aggravare il malcontento globale.
L’aumento dei prezzi dei generi alimentari, unito a una cronica disoccupazione giovanile e a una profonda sfiducia nei confronti di governi autoritari e repressivi, ha provocato rivolte in Algeria e manifestazioni di massa in Tunisia. Il 14 gennaio il dittatore tunisino Zine el Abidine Ben Ali è stato destituito. Molte tensioni sociali esplose in questi due paesi serpeggiano in tutto il Medio Oriente, e non solo. Con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e altre pressioni economiche, lo scoppio di nuove rivolte sembra inevitabile.
I modelli internazionali di consumo stanno forzando i limiti delle risorse naturali del pianeta. La popolazione continua a crescere e, dal Brasile all’India, dalla Turchia alla Cina, emergono nuove potenze. Insieme a queste, aumenta anche la domanda di uno stile di vita americano. Com’era prevedibile, la richiesta di materie prime fondamentali è in aumento nonostante una diminuzione delle riserve in molti settori. Il cambiamento climatico, che a sua volta è un effetto del consumo sfrenato di energia, aggiunge ulteriori pressioni sull’offerta, spingendo gli speculatori a scommettere su un progressivo peggioramento della situazione. La strada è piena di ostacoli.
Conclusione inevitabile
Cominciamo con il cibo, la più importante e instabile di queste materie prime. Nell’ottobre del 2008 i prezzi alimentari sono scesi per effetto della crisi finanziaria internazionale, ma si è trattato di un’anomalia. L’indice dei prezzi alimentari pubblicato dalla Food and agricultural organization delle Nazioni Unite (Fao) a dicembre ha raggiunto il valore record di 223 punti, uno in più rispetto alla primavera del 2008 (nell’indice, che si basa su un paniere di generi alimentari, la base 100 rappresenta i prezzi negli anni 2002-2004). Alcuni prodotti, tra cui lo zucchero, gli oli per cucinare e i grassi, adesso sono ben al di sopra dei livelli del 2008. Anche i valori di altri beni, come quelli caseari, i cereali e la carne, stanno aumentando velocemente.
Gli esperti temono che nei primi mesi del 2011 i prezzi dei prodotti alimentari di base si stabilizzeranno oltre i massimi del 2008, mettendo in ginocchio le popolazioni a basso reddito. “Abbiamo raggiunto un livello pericolosamente alto”, ha dichiarato l’economista della Fao Abdolreza Abbassian. “L’ultima volta che sono stati raggiunti questi prezzi sono scoppiati disordini e rivolte in tutto il mondo”. Abbassian e i suoi colleghi sono preoccupati soprattutto per il costo del mais, del riso e del grano, le colture di base di miliardi di persone che vivono nei paesi più poveri del pianeta. Secondo la Fao, alla fine del 2010 il prezzo internazionale del mais e del grano era già vicino ai massimi del 2008 (circa 260 e 340 dollari alla tonnellata).
Secondo gli analisti l’aumento dei prezzi dipende dalla crescita simultanea della domanda nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo, a cui si aggiungono una serie di eventi meteorologici catastrofici e le speculazioni degli investitori. La scorsa estate, una grave siccità e una serie di incendi a catena hanno distrutto gran parte dei raccolti di grano in Russia e in Ucraina. In India e in Pakistan sono state le inondazioni a danneggiare il raccolto. In quasi tutte le altre zone agricole del mondo la produzione ha risentito del clima insolitamente caldo e secco.
Il quadro è preoccupante: la forza e la frequenza di questi eventi climatici estremi è in aumento. In Australia, uno dei principali produttori mondiali di grano, le piogge e le inondazioni hanno quasi completamente allagato una superficie grande il doppio della California, distruggendo le coltivazioni. Un clima insolitamente secco nel midwest degli Stati Uniti e in Argentina fa temere per i futuri raccolti di grano e di mais. È ancora troppo presto per fare una previsione sulle dimensioni dei raccolti, ma secondo molti analisti le scorte diminuiranno e i prezzi subiranno un’impennata. L’orientamento prevalente tra gli analisti e tra i politici è quello di non attribuire questo ingorgo di catastrofi naturali al riscaldamento globale.
Temperature pericolose
Le variazioni anche rilevanti nelle precipitazioni sono normali in paesi come l’Australia, soggetti a fenomeni di oscillazioni della temperatura dell’oceano come El Niño o La Niña. I politici, in particolare, hanno paura di prendere posizione su un problema come il riscaldamento globale. Ma, secondo gli studi, l’aumento delle temperature – il 2010 ha eguagliato il 2005 come l’anno più caldo di sempre e nove dei dieci anni più caldi sono stati nell’ultimo decennio – sarà accompagnato da precipitazioni più intense e frequenti. Quindi è difficile non concludere che gli ultimi eventi, comprese le inondazioni in Australia, siano legati al riscaldamento globale.
L’impennata dei prezzi dei generi alimentari dipende anche dalla speculazione e dall’aumento del prezzo del petrolio. Per cautelarsi di fronte alla diminuzione del valore del dollaro, alcuni speculatori stanno scommettendo sui futures legati alle derrate alimentari (oltre che sull’oro e sull’argento). Il prezzo del greggio si sta avvicinando alla soglia dei cento dollari, rendendo più conveniente per gli agricoltori passare dalla coltivazione del mais per il consumo a quella per la produzione di etanolo, che a sua volta riduce la quantità di ettari destinati ai prodotti alimentari.
Per rendere la coltivazione del mais a uso alimentare competitiva come quella per la produzione di etanolo, il petrolio dovrebbe scendere sotto i 50 dollari al barile. Ma difficilmente questo succederà. Quindi anche se nel 2011 si produrrà più mais, la quantità destinata all’uso alimentare sarà minore e il prezzo salirà.
L’aumento vertiginoso del prezzo del greggio ha colto di sorpresa gli esperti. Fino a poco tempo fa il dipartimento per l’energia degli Stati Uniti (Doe) prevedeva per il 2011 un prezzo nell’ordine di 70-80 dollari al barile. Ma già in queste prime settimane dell’anno il petrolio è stato scambiato a più di 90 dollari al barile e, secondo alcuni esperti, arriverà a cento dollari prima della fine dell’anno. Qualcuno parla addirittura di 150 dollari al barile e di un prezzo alla pompa negli Stati Uniti di più di quattro dollari.
Se il prezzo supererà i cento dollari, la spesa globale destinata ai consumi rischia di arrestarsi di nuovo. “Il prezzo del greggio è in una zona pericolosa per l’economia globale”, osserva Fatih Birol, direttore degli studi economici dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). “Il costo delle importazioni sta diventando una minaccia per la ripresa economica”.
Il picco del petrolio
Come per i prodotti alimentari, il rincaro del petrolio è il risultato della crescita della domanda, dell’insufficienza delle scorte e della speculazione finanziaria. Secondo le ultime proiezioni della Iea, quest’anno il consumo giornaliero globale di greggio sarà in media di 87,4 milioni di barili, circa due milioni di barili in più rispetto al primo trimestre del 2010. Gran parte della domanda extra viene dalla Cina – dove la nuova classe media sta acquistando auto a ritmi da record – e dagli Stati Uniti, dove i consumatori ricominciano a comprare auto ai ritmi precedenti al 2008.
Anche due milioni di barili in più rappresentano un ostacolo enorme in un momento in cui l’industria petrolifera deve fare i conti con un declino della produzione in molti giacimenti esistenti e ha sempre più difficoltà a soddisfare la domanda. Negli Stati Uniti, per esempio, molti avevano affidato le loro speranze all’esplorazione dei fondali del golfo del Messico e al largo dell’Alaska, ma dopo l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon della British Petroleum lo scorso aprile questa prospettiva sembra tramontata.
La produzione nel Messico e nel mare del Nord è in declino, mentre altri produttori chiave, compresi i paesi del Medio Oriente, faticano a mantenere gli attuali livelli di estrazione nei giacimenti esistenti. Secondo molti esperti il mondo ha raggiunto (o sta per raggiungere) il picco del petrolio: il momento, cioè, in cui la produzione globale tocca il massimo tasso giornaliero sostenibile e imbocca la strada di un declino irreversibile. Altri esperti credono che sia ancora possibile aumentare la produzione di greggio.
Chiunque abbia ragione, per l’industria petrolifera è sempre più difficile (a fronte di costi sempre più alti) incrementare gli attuali livelli produttivi. Questo, insieme a una domanda insaziabile, sta facendo schizzare in alto i prezzi. Date le circostanze, gli speculatori riprendono a puntare sul mercato del petrolio, considerato una delle poche scommesse sicure. Nel 2008 gli stessi speculatori spinsero il prezzo del greggio a un livello record di 147 dollari al barile, salvo poi abbandonare il mercato ai primi segni di crisi davanti al crollo dei prezzi. “Gli hedge fund e gli investitori privati stanno acquistando strumenti finanziari legati al costo del greggio, e così contribuiscono a far salire il prezzo del petrolio”, ha scritto alla fine di dicembre il Wall Street Journal.
Quasi tutti gli analisti si aspettano uno scatto dei prezzi tra la primavera e l’estate, quando gli automobilisti americani si rimetteranno sulle strade. “In primavera ci sarà un aumento che porterà il prezzo della benzina nelle stazioni di servizio statunitensi a poco più di cinquanta centesimi di euro a litro”, prevede Tom Kloza, capo dell’ufficio studi dell’Oil price information service. A sua volta l’aumento del prezzo della benzina rischia di ripercuotersi sui consumatori proprio quando questi cominciano a riaprire il portafogli. Inoltre, paesi importatori di petrolio come gli Stati Uniti, il Giappone e molti altri in Europa dovranno affrontare l’aumento dei costi delle importazioni di carburante, indebolendo ulteriormente economie già in crisi.
Secondo alcuni calcoli, lo scorso anno il prezzo del petrolio ha aggiunto altri 72 miliardi di dollari al colossale deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti. L’Europa ha sborsato 70 miliardi di dollari in più per le importazioni di greggio, il Giappone 27 miliardi. “Nel 2010 è suonato il primo campanello d’allarme. Nel 2011 il livello dei prezzi potrebbe condurci a una crisi finanziaria come quella del 2008”, spiega Fatih Birol della Iea.
Aumento dei prezzi dei generi alimentari con conseguenti proteste e rivolte, impennata del prezzo del petrolio, disoccupazione mondiale e frenata della ripresa economica: sembrano esserci tutti i presupposti per uno tsunami mondiale di instabilità e fermento politico. Una cosa è certa: le sommosse a cui abbiamo assistito in questi giorni non saranno le ultime, e nei prossimi anni potrebbero raggiungere proporzioni che neanche immaginiamo.
Traduzione di Fabrizio Saulini.
Internazionale, numero 884, 11 febbraio 2011