un po' di confusione sull'autolisi
Quale percentuale della massa finale conviene mettere in autolisi per ottenere il miglior risultato possibile in termini di miglioramento dell'estensibilita' ?
[quote=napoli72]Quale percentuale della massa finale conviene mettere in autolisi per ottenere il miglior risultato possibile in termini di miglioramento dell'estensibilita' ? Il risultato è esattamente proporzionale alla quantità messa in autolìsi, quindi per avere il massimo risultato bisogna mettere tutta la farina e tutta l'acqua in autolìsi, impastando molto brevemente, solo per amalgamare. Finita la autolìsi aggiungi il lievito e sale e olio, qualora tu non abbia usato sale e olio in autolìsi. Si puo' benissimo usare sale e olio in autolìsi, non è obbligatorio usare solo farina e acqua. Si tenga presente che il sale rallenta un poco la autolìsi ma è molto consigliabile se si fanno lunghe autolìsi e-o a alta temperatura, proprio per prevenire la collosità dell'impasto. Ad esempio per una autolìsi di un'ora a 22 gradi , pur usando farine forti, è consigliabile usare il sale anche in autolìsi. Si puo' fare a meno del sale solo se la farina è forte e l'autolìsi inferiore alla mezzora e ai 25 gradi. Insomma bisogna PONDERARE l'insieme dei 3 fattori principali: forza farina, temperatura autolìsi e durata autolìsi. Piu' l'insieme di questi fattori conferisce collosità all'impasto (alta temperatura, w basso, lunga durata) e piu' è indicato l'uso di sale in autolìsi, naturalmente il sale è quello definitivo che prevede la ricetta, non ne va riaggiunto dopo la autolìsi.
Pane con farina di semola di grano duro rimacinato
a cura di Piergiorgio Giorilli
(Maestro Panificatore, Docente e Presidente del Richemont Club Italia e Internazionale)
La corretta esecuzione dell’impasto è fondamentale nella preparazione del pane e, più in generale, di tutti i prodotti da forno. La qualità e le caratteristiche del prodotto finito dipendono in larga misura da come viene gestita questa fase del lavoro. I metodi per preparare l’impasto sono numerosi. I più comuni sono sicuramente il sistema diretto, che prevede la lavorazione di tutti gli ingredienti in un’unica fase, e indiretto, che richiede dapprima la preparazione di un preimpasto (biga o poolish) a base di farina, acqua e lievito compresso. Questo preimpasto, dopo un periodo di fermentazione, viene versato nella vasca dell’impastatrice e lavorato con gli altri ingredienti previsti dalla ricetta. Esiste anche un metodo semidiretto, che utilizza la pasta di riporto oppure un pre-fermento, oltre a tecniche particolari come l’impasto intensificato o l’impasto a caldo.
La tecnica in tre fasi
Per la panificazione con lievito naturale è particolarmente indicata la tecnica dell’autolisi. Si tratta di una metodologia di lavoro che consente di sfruttare l’autoevoluzione del glutine.Il sistema con autolisi si sviluppa in tre fasi distinte: la miscelazione iniziale della farina con una parte dell’acqua, il riposo dell’impasto autolitico così ottenuto e, infine, l’impasto finale. La prima fase della preparazione di un impasto autolitico consiste quindi nell’impastare molto delicatamente la farina e il 55% dell’acqua prevista dalla ricetta. Utilizzando un’impastatrice a spirale, per esempio, saranno sufficienti 5/8 minuti in 1° velocità. La seconda fase, ovvero il riposo di questo primo impasto, può durare da 20 minuti a 24 ore. La durata del riposo di un impasto autolitico si stabilisce in base alle caratteristiche della farina e alle esigenze produttive. In linea generale, quanto più la farina è forte e resistente, tanto più lungo dovrà essere il periodo di riposo. Se questo lasso di tempo è superiore alle 5/6 ore è consigliabile aggiungere alla miscela di acqua e farina anche una parte del sale e ridurre la quantità di acqua al 45/50%. In questo caso è bene che la successiva conservazione avvenga a una temperatura di 18°/20°C. Per tempi di riposo più brevi, l’impasto può invece essere lasciato a temperatura ambiente, eventualmente anche nella stessa vasca dell’impastatrice. Trascorso il periodo di autolisi si passa alla terza fase, ovvero all’impasto finale. È a questo punto che vengono aggiunti tutti gli altri ingredienti della ricetta: il lievito, il malto, l’acqua eventualmente rimasta, il sale e, naturalmente, altri ingredienti previsti per il tipo di pane che si sta preparando. Si procede quindi a impastare, in seconda velocità, per il tempo necessario. L’impasto ottenuto può essere utilizzato totalmente per l’esecuzione del prodotto (tutta la farina della ricetta viene adoperata per autolisi) o anche parzialmente; in questo caso, in fase di impasto finale, viene aggiunta dell’altra farina (la cui quantità non deve superare cinque volte quella della farina utilizzata per autolisi ).
I vantaggi dell’autolisi
La tecnica dell’autolisi conferisce al prodotto finale un sapore caratteristico, un ottimo sviluppo e una più lunga shelf-life. Questo sistema ha, inoltre, il vantaggio di ridurre i tempi di lavorazione, mentre la consistenza dell’impasto diventa particolarmente liscia e malleabile, la formatura risulta più agevole e il prodotto finito presenta volume superiore, migliore alveolatura e maggiore sofficità della mollica. Tutti questi vantaggi sono il risultato di processi fisici e chimici che hanno luogo durante il riposo della pasta. In questa fase, infatti, l’impasto subisce, al suo interno, importanti modifiche. In particolare avviene l’idrolisi (dal greco hydro = acqua, e lysis = sciogliere, è l’insieme di diverse reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa in due o più parti per inserimento di una molecola di acqua) dei suoi componenti ad opera degli enzimi (in particolare amilasi e proteasi), attivati dall’acqua dell’impasto. Sotto l’azione degli enzimi amilasi, l’amido si scinde in zuccheri, fornendo così elementi nutritivi ai lieviti contenuti nell’impasto. Di conseguenza, la fermentazione successiva dell’impasto finale sarà agevolata e anche le caratteristiche organolettiche del prodotto finale saranno migliori (il gusto e il profumo in particolare). Gli enzimi proteasi, invece, sono protagonisti della reazione di proteolisi. Si tratta di un processo che avviene normalmente in tutti gli impasti, ma che si sviluppa soprattutto durante il periodo di riposo e consiste nella “frantumazione” della maglia glutinica dell’impasto in pezzi più piccoli. In questo modo le catene proteiche si allungano e la pasta acquista maggiore estensibilità, diventando più malleabile. La proteolisi può essere più o meno attiva in relazione a diversi fattori: la struttura delle proteine (in particolare le proprietà del glutine ), l’attività enzimatica della farina, la presenza nell’impasto di determinate sostanze, la temperatura dell’impasto ecc… Se la proteolisi è la reazione base che avviene nell’impasto autolitico, non è l’unica che trasforma le proprietà del glutine della pasta. Nell’impasto avviene, infatti, anche una reazione opposta, ovvero il rafforzamento della maglia glutinica dovuto all’azione dell’ossigeno dell’aria, inglobato dalla pasta durante la lavorazione (reazione di ossidazione). Sotto l’azione dell’ossigeno, i gruppi tiolici della maglia glutinica (SH-) si trasformano in ponti disolfurici (-S=S-). Come conseguenza, il glutine si rinforza, diventa più elastico e sarà in grado di assorbire quantità superiori d’acqua. Tale reazione avviene soprattutto nella prima e nell’ultima fase (quella dell’impasto finale). In misura minore, si sviluppa anche durante il riposo della pasta. Proteolisi e ossidazione, agiscono quindi contemporaneamente sulla maglia glutinica. Di conseguenza, le catene proteiche si allungano, si gonfiano, assorbendo aria e acqua, e completano la loro idratazione; così l’impasto durante la lavorazione finale raggiunge la migliore consistenza in periodo più breve e con quantità d’acqua maggiori. In altri termini, l’autolisi è una tecnica, che dona all’impasto una particolare estensibilità, ma nello stesso tempo migliora l’elasticità e il grado d’assorbimento dell’acqua. I tempi d’impasto si riducono e l’impasto risulta particolarmente liscio. Questa tecnica è particolarmente utile per la panificazione con il lievito naturale (date le caratteristiche dell’impasto, che risulta sempre un po’ più “nervoso”, meno liscio rispetto a quello a base di lievito compresso, a causa dell’acidità contenuta; caratteristica questa, ancora più marcata se il lievito naturale è più forte o più acido del dovuto), oppure quando si utilizzano farine molto resistenti. Per gli impasti dei dolci da ricorrenza a base di lievito naturale, che contengono un’alta percentuale di materia grassa e hanno naturalmente una buona estensibilità, questa tecnica non offre vantaggi particolarmente evidenti, mentre per gli impasti con lievito naturale non contenenti i condimenti risulta quasi indispensabile.
PANE CON FARINA DI SEMOLA DI GRANO DURO RIMACINATA (CON LIEVITO NATURALE)
Primo impasto
Lievito naturale pronto dopo 2 rinfreschi 100 g
Farina (W 320 – P/L 0,50) 500 g
Acqua 300 g
Sale 2,5 g
Piergiorgio Giorilli
Tempi d’impasto
Impastatrice spirale:3 minuti in 1° velocità – 6 minuti in 2° velocità;
impastatrice tuffante4 minuti in 1° velocità – 7 minuti in 2° velocità.
Lasciate lievitare l’impasto alla temperatura di 18°C per 12/14 ore. Se la lievitazione è inferiore alle 4 ore a 27/28°C, non aggiungete il sale.
Secondo impasto
Primo impasto
Farina di grano duro rimacinata 3.000 g
Acqua 2150 g (70% sul totale della farina)
Sale 66 g (2,2% sulla farina aggiunta)
Tempi di impasto
Impastatrice spirale:4 minuti in 1° velocità – 8 minuti in 2° velocità;
impastatrice tuffante: 5 minuti in 1° velocità – 9 minuti in 2° velocità.
Temperatura finale impasto: 26°C
Iniziate a impastare la farina, il 1° impasto e il 55% dell’acqua. A metà della lavorazione aggiungete il sale e l’acqua rimasta. Lasciate riposare l’impasto per circa 90 minuti alla temperatura di 27°/28°C. Formate a filone o pagnotta(con pezzature possibilmente superiori a 500 g), praticate un taglio laterale e lasciate lievitare per circa 4 ore a 28°C. Infornate con vapore a 220°/230°C e, dopo qualche minuto, abbassate la temperatura di 10°C. Terminate la cottura con tiraggio aperto.
Nota
È possibile aggiungere all’impasto finale 30 g di lievito oppure 300 g di biga (con lievitazione di 20/24 ore), riducendo il tempo di riposo dell’impasto a 60 minuti e la lievitazione finale a 60/70 minuti.
Sistema con autolisi
Impastate gli ingredienti di base (farina e il 55% dell’acqua) per 5/6 minuti in 1° velocità. Dopo l’autolisi, di circa 30 minuti, riprendete a impastare in 2° velocità aggiungendo gli altri ingredienti e l’acqua rimasta. Questo metodo è particolarmente raccomandato per la panificazione con lievito naturale. I benefici sono molti: aumento dell’estensibilità della pasta (che diventa liscia più velocemente con diminuzione dei tempi di impasto), formatura più agevole, volume superiore, migliore alveolatura e maggiore sofficità della mollica.[quote=napoli72]Quale percentuale della massa finale conviene mettere in autolisi per ottenere il miglior risultato possibile in termini di miglioramento dell'estensibilita' ?
Che si puo' mettere solo il 55% dell'acqua. Questo è un metodo che serve a rendere meno appicicosa la pasta dopo la autolìsi, questo metodo è paragonabile a quello che ho appena descritto, ossìa mettere il sale in autolìsi. Bisogna sempre tenere a mente che piu' intensa è la autolisi e piu' sorgono poi problemi di appicicosità. Se il problema è solo quello di fare assorbire piu' acqua dalla farina (aumentare la idratazione) è consigliabile lo stop and go in impastamento (uno o piu' stops and go) poichè questo metodo non da nessun problema di appicicosità. Se invece si vuole ammorbidire un impasto con farina forte e-o con P/L elevato lo stop and go non risolve il problema e è in questo caso indicata la autolìsi, efficace in tal senso.
Poichè la semola da luogo a un impasto molto tenace , la autolìsi è vivamente consigliata se si prepara pane di semola. non sono invece daccordo con Giorilli quando aggerma che in caso di lievitazione naturale è quasi sempre necessaria la autolìsi. Secondo me lo è solo se si usano farine forti, se si utilizza una farina con w max di 280 allora una lievitazione con pasta madre di 5 ore (a 3o gradi di temperatura media) da luogo a un pane soffice, se si usa un lievito madre rinfrescato spesso in relazione alla sua temperatura di fermazione, se si usa cioè un lievito madre a basso contenuto di acido acetico. Ricordiamo che se un lievito madre lievita troppo sviluppa troppo acido acetico, oltre a diventare colloso, e da quindi al pane una consistenza dura e gommosa. Per evitare cio' gli intervalli temporali massimi tra un rinfresco e l'altro sono i seguenti (supponendo idratazione del 50% su farina e un w di almeno 350, farina 0 o 00): 12 ore per temperatura fra 20 e 27 gradi, 8 ore per temperature tra 27 e 30 gradi, 5 ore per temperature fra 30 e 33 gradi.
Sì, intendevo dire poolish, ma oramai a forza di leggere il tuo nick mi confondo 🙂