Forum

Notifiche
Cancella tutti

Aiuto impasto: crosta e pasta che gira poco sul banco

(@-3398)
Membro Registered

Ciao a tutti,

Mi presento: mi chiamo Tudor, ho 24 anni, studio ingegneria e per pagarmi la scuola nonchè il "vivere quotidiano" faccio il pizzaiolo da un paio di mesi.
Ho fatto l'aiutante pizzaiolo per un paio di anni in una pizzeria d'asporto e nel cercare un impegno part time ho trovato un posto da pizzaiolo in un ristorante. Ci sono andato subito.

Premesso che ho già la ricetta della pasta e le palline mi vengono oramai bene, ho ancora dei dubbi e tante cose da imparare.

La prima domanda che vorrei farvi: i pallini delle pizze mi fanno spesso la crosta, più che spesso sempre in questo periodo. Per risolvere il problema bagno uno straccio e ce lo metto sopra alle balline che " riprendono vita " e diventano utilizzabili.
Perchè fanno la crosta??? Come si fa a ridurre questo fenomeno?

Seconda domanda: la pasta "gira" poco sul banco; o meglio, faccio fatica a tirarla senza tanta farina, non scivola sul banco.
Come si fa ad aumentare la "manegevolezza" della pasta?

Grazie in anticipo

Citazione
Topic starter Pubblicato : 07/10/2012 21:30
(@alessio-2)
Membro Registered

ciao tudor
tanto di cappello per come ti sei prensentato..spero di poterti aiutare al meglio..
allora sei stato un po' generico...vediam in 2 parole di aiutarti senza farti 2 palle...
1 le palline fanno la crosta perche' l'aria le secca.se lavori con le cassette vuol dire che nn sono perfettamente ermetiche.mettici la pellicola trasparente e risolvi il problema..
2 su che banco le apri?perche' ci puo' stare che il marmo sia rovinato...
ciao

ale

RispondiCitazione
Pubblicato : 07/10/2012 23:03
(@9662-33)
Membro Registered

Dovresti spennellare di olio di semi la pellicola e con essa coprire le palline.

RispondiCitazione
Pubblicato : 08/10/2012 07:54
(@-2261)
Membro Registered

Ciao, Tudor. Sei il benvenuto. 😉
Allora, circa il primo problema ti hanno già risposto.
Con riguardo al secondo, invece, non si capisce bene quale esso sia, nel senso che hai speso troppe poche parole in merito; ti invito a descrivere più nel dettaglio la questione, se possibile indicando anche ingredienti, dosi, procedura e tempistiche... perchè su due piedi non ti si puó dare una risposta univoca a fronte delle poche informazioni a disposizione.
Comunque in linea generale ti dico che, secondo la mia esperienza, tra i molteplici fattori che aiutano la manegevolezza dell'impasto ci sono:
- il giusto grado di idratazione (in rapporto alla farina utilizzata);
- la temperatura dei panetti (che ovviamente devono essere a temperatura ambiente);
- la qualità della maglia glutinica (né troppo tenace, né troppo rilassata)
- il tipo di farina utilizzata per lo spolvero (in genere si consiglia la semola).
Facci sapere. 😉

RispondiCitazione
Pubblicato : 08/10/2012 11:20
(@alessio-2)
Membro Registered

tudor no all'olio nella pellicola.
se metti in frigo le cassette nn ti serve....
ciao

per il 2do ha ragione polash son piu' cause pero' io ho detto solo del marmo dando per scontato che era tt ok...
ciao

ale

RispondiCitazione
Pubblicato : 08/10/2012 16:27
(@9662-33)
Membro Registered

Facci capire , oppone troppa resistenza all'allargamento ? La tenacità alta puo' essere data da vari fattori (anche piu' di uno contemporaneamente), fra i quali i principali sono: troppo P/L in relazione a ore e temperature di maturazione, troppo corta la fase di apretto, troppo bassa la idratazione relativamente alla farina usata...

RispondiCitazione
Pubblicato : 08/10/2012 16:32
(@-3398)
Membro Registered

Riciao a tutti! sono spravvissuto all'week end e tornato a vedere le risposte.

Grazie a tutti per le gentili e veloci risposte!

Allora partiamo cercando di spiegarmi meglio. Il mio impasto è questo inanzitutto:
3,13 kg di farina 00
2 l acqua temperatura ambiente
175 g sale
12 g lievito
un bicchiere d'olio di semi
Tutto nell'impastatrice per pochi minuti finchè la pasta non diventa 'pronta', cioè non attacca la mano ed è tipo il velluto a toccarla. La faccio riposare sul banco per dieci minuti, coperta da uno straccio bagnato poi faccio le palline e le metto nei cassetti, che a quanto pare non sono belli ermetici perchè mi fanno la crosta le palline.

Quindi la seconda domanda era: la pasta sul banco è non gira, non scivola sul banco, non oppone resistenza quando la tiro perchè con tanta farina va, e anche in aria se la faccio girare si allunga bene. Proprio sul banco non scivola facilmente. Come soluzione un po' alla buona diciamo metto un goccio d'olio sul banco e lo tiro con un tovagliolo e poi gira che è una meraviglia.

Perchè è così "cappricciosa" sta pasta?? hahahaha..battute da pizzaiolo oramai

Grazie in anticipo

RispondiCitazione
Topic starter Pubblicato : 09/10/2012 23:27
(@-3398)
Membro Registered

P.S.: il banco è nuovo. Il ristorante dove lavoro ha da poco aggiunto anche la pizzeria, dunque tutto è nuovo.

RispondiCitazione
Topic starter Pubblicato : 09/10/2012 23:28
(@-2261)
Membro Registered

Ammazza quanto sale! 😉
Il problema potrebbe essere proprio quello...
Su 3kg di farina ci vanno circa 90-100gr di sale, al massimo 110; se poi utilizzi una farina medio-forte o addirittura forte puoi invece scendere anche a 80, 70 o addirittura 60gr. Calcola che la riduzione del sale potrebbe comportare anche la necessità di ridurre l'acqua: troverai la giusta dose con l'esperienza, ma considera che l'idratazione ottimale si ottiene quando l'impasto finale risulta morbido ma non appiccicoso.

Un'altra cosa... quanto riposo complessivo fai fare all'impasto? attendi il tempo che i panetti siano COME MINIMO raddoppiati di volume?
Calcola che con quelle dosi di sale ottieni una maglia glutinica molto tenace, il che si traduce in un panetto difficile da stendere: il rimedio per una maglia glutinica così forte é quello di concedere all'impasto un po' di riposo in più, affinchè la maglia glutinica possa rilassarsi.

Combina dunque i due fattori: meno sale e più riposo.
Considera che il riposo complessivo dovrebbe oscillare a mio avviso dalle 12 alle 24 ore; se poi usi farine forti, anche 36 o 48 ore. Se pensi di fare tutto questo lavoro a temperatura ambiente, diminuisci il lievito: ad occhio e croce su 3kg di farina ci vanno 9gr, o anche 6gr... io ne metto anche di meno, ma forse ti conviene chiedere su questo punto a Neaples79.

Da ultimo, se fossi in te aggiungerei anche una piccola percentuale grassa, che è sempre di aiuto: su 3kg di farina metterei circa 90gr di olio extra vergine.

Facci sapere! 😉

RispondiCitazione
Pubblicato : 10/10/2012 08:30
(@9662-45)
Membro Registered

E' un problema di appicicosità? Si tende a appicicare il disco al banco di lavoro? Se è così dipende molto probabilmente da una idratazione troppo alta rispetto alla farina in questione. In base all'idratazione che hai riferito, se non usi una farina molto forte, idrati troppo.

RispondiCitazione
Pubblicato : 10/10/2012 08:54
(@9662-45)
Membro Registered

Diminuisci l'acqua rispetto alla farina e dimmi se si risolve il problema

RispondiCitazione
Pubblicato : 10/10/2012 08:57
(@-3398)
Membro Registered

Oggi ho fatto nuovamente la pasta. domani vi dico com'è
la farina che uso è della pz pizza, c'è scritto farina normale, qualcosa del genere con umidità all'incirca del 16% c'è scritto.
cosa vuol dire farina forte o meno?

penso che sia un problema di lievitazione. oggi avevo i panetti ben espansi, dopo 4 gg che li fatti pero'. ovviamente stanno il piu' del tempo in frigo.

ecco. altra domanda: su un impasto simile al mio, una lievitazione ottima dopo quanto tempo si raggiunge all'incirca a temperatura ambiente?

RispondiCitazione
Topic starter Pubblicato : 14/10/2012 01:01
(@-1749)
Membro Registered

[quote=tudor]Oggi ho fatto nuovamente la pasta. domani vi dico com'è
la farina che uso è della pz pizza, c'è scritto farina normale, qualcosa del genere con umidità all'incirca del 16% c'è scritto.
cosa vuol dire farina forte o meno?

penso che sia un problema di lievitazione. oggi avevo i panetti ben espansi, dopo 4 gg che li fatti pero'. ovviamente stanno il piu' del tempo in frigo.

ecco. altra domanda: su un impasto simile al mio, una lievitazione ottima dopo quanto tempo si raggiunge all'incirca a temperatura ambiente?
Le Farine
(Aggiornato il 30/09/2012)

A meno che non ci si voglia limitare a fare un pane banale, come l'anonimo pane a cassette che produce la Macchina del Pane, magari utilizzando le confezioni di mix già pronti in vendita in ogni supermercato, la scelta delle farine è un passo essenziale. Per sapere scegliere la farina giusta o, più spesso, la giusta miscela di farine, bisogna conoscerne le caratteristiche, le proprietà e la resa nella panificazione.
La prima distinzione fondamentale è ovviamente il cereale da cui le farine sono ricavate. Al momento io ho usato farine di grano tenero (triticum aestivum), di grano duro (triticum turgidum durum), di segale (secale cereale), di kamut® (triticum turgidum tiranicum, Khorasan o grano grosso), di farro (triticum turgidum dicoccum), di farro Spelta (Triticum Spelta) e di grano saraceno (fagopyrum esculentum). Si può anche usare, con risultati molto meno entusiasmanti, la farina di avena (avena sativa) e di farro monococco (Triticum Monococcum), ma il ruolo di gran lunga principale lo svolgono le farine di grano tenero.

Farina di Grano Tenero

Secondo la legislazione italiana, queste farine sono denominate secondo il livello di raffinatezza, o meglio del contenuto di ceneri, che corrisponde a quanta parte esterna del chicco è stata eliminata prima di ottenere la farina finale.
In questo sito potrete trovare una spiegazione molto dettagliata di tutto quello che io invece riassumerò più brevemente.
La legislazione italiana prevede le seguenti categorie di farine

Denominazione contenuto max di ceneri abburattamento
Tipo 00 0.55% 50%
Tipo 0 0.65% 72%
Tipo 1 0.80% 80%
Tipo 2 0.95% 85%
Integrale 1.70% 100%

L'abburattamento, termine esclusivo dell'industria molitoria, rappresenta la percentuale del chicco utilizzato per quella particolare farina. Per la farina integrale si usa l'intero chicco, e quindi l'abburattamento è del 100%.
Questo valore diminuisce via via che si ottengono farine in cui predomina il contributo della parte centrale del chicco, cioè l'endosperma.

Questa classificazione non è però sufficiente per definire il comportamento di una farina nel processo di panificazione. Per questo fine sono stati introdotti altri parametri, di cui il più importante è la cosiddetta forza, indicata, quando viene indicata, con la lettera W. La forza della farina viene misurata con uno strumento chiamato alveografo.

L'alveografo dà come risultato una curva come quella mostrata a fianco, cioè l'andamento dell'indice di tenacità, cioè la forza che esercita l'impasto contro la pressione dei gas interni, in funzione della sua estensione. La cosiddetta forza della farina è data dall'area di questa curva fino al punto di rottura. Questa definizione comporta anche che non è lecito pensare di derivare la forza complessiva di una mistura di farine dalla semplice media delle rispettive forze. Mescolando una farina debole con una forte si ottiene qualcosa di intermedio, ma il cui valore reale dipende da molti parametri che qui non sono considerati.
Molti più dettagli tecnici possono essere trovati qui.

In generale una farina con W più elevato assorbe più acqua, sopporta lievitazioni più lunghe e trattiene di più l'anidride carbonica prodotta dalla lievitazione stessa.
Uno schema di principio dell'uso migliore delle farine in funzione della loro forza è mostrato nel grafico che segue, tratto dal corso di tecnologia dei cereali del Prof. Franco Antoniazzi dell’Università di Parma.

Forza della farina % di proteine Utilizzo
90/130 9/10.5 biscotti
130/200 10/11 grissini, crackers
170/220 10.5/11.5 pane comune, pancarrè, pizze, focacce
220/240 12/12.5 baguette, pane comune ad impasto diretto e biga di 5/6 ore
300/310 13 pane lavorato, pasticceria, biga di 15 ore
340/400 13.5/15 pane soffiato, panettone, biga di oltre 15 ore

La forza della farina non è però indicata nelle confezioni da un chilo di uso domestico reperibili dalla distribuzione ordinaria, per cui questo parametro essenziale per la panificazione rimane sconosciuto a chi non può o non vuole approvvigionarsi di prodotti professionali.
Una ragionevole approssimazione si può però ricavare dalla percentuale di contenuto di proteine, che molte, ma non tutte, le confezioni casalinghe riportano, secondo la tabella di comparazione posta qui a fianco.

Anche se non viene riportata alcuna indicazione nè della forza nè del contenuto di proteine, quando una farina riporta la denominazione Manitoba, ci si aspetta un posizionamento verso la parte alta della scala, come è il caso della farina Manitoba della Spadoni, di cui bisogna rammaricarsi della totale mancanza di informazioni specifiche, che potrebbe anche nascondere una irregolarità di qualità, ma che alla prova pratica mi è sempre sembrata una onesta farina di forza.
Sicuramente è una farina che non eccelle, rimanendo nella qualità media di Supermercato, ma permette una adeguata idratazione e una lievitazione superiore alle 15 ore.

Manitoba è il nome di una regione del Canada, derivato da quello di una tribù indiana, in cui era coltivato un grano di particolare forza, con alto contenuto di glutine.
Oggi spesso vengono chiamate Manitoba anche farine di W>350, indipendentemente da dove il grano è stato coltivato.

Addirittura fuori scala, secondo la tabella precedente, è questa Manitoba 00 che dichiara un contenuto di proteine del 21.53%. Non viene dato il valore della forza, e la percentuale di proteine sembra davvero eccessivo.
Nel suo uso ho potuto notare una superiorità nell'assorbimento di acqua e una maggiore resistenza alle lunghe lievitazioni.
Come effetto secondario ho notato una maggiore doratura della superficie in fase di cottura, che dovrebbe essere sempre dovuta alla maggiore quantità di proteine.
Tutto sommato, la sua resa globale non mi ha soddisfatto del tutto, e non l'ho usata molto.

Per le farine di base, da miscelare alla Manitoba per ottenere un composto di forza adeguata al tipo di lievitazione ed idratazione che si vuole ottenere, vi è invece una discreta scelta anche a livello di farine economiche.
Quella che più spesso ho usato io nella mia fase iniziale è la Farina 0 di Consilia, che ha un onesto 10% di proteine e una resa in panificazione altrettanto onesta, ad un prezzo tra i più bassi in circolazione. Quando ho ritenuto necessaria una qualità maggiore, sono ricorso alla stessa fonte della Manitoba precedente, con una farina 0 che ha il 10.5% di proteine, o alla farina 0 "per pizza" di Alimonti che ha il 12% di proteine, e non dichiara aggiunta di glutine, ma che non mi era facile trovare.

Un'altra farina che uso molto spesso è quella integrale, e per molto tempo ho usato quella che proviene sempre dallo stesso distributore. Mi è sempre stato praticamente impossibile trovare delle alternative, perchè i supermercati della mia zona ignorano il problema della farina integrale. C'è poi da considerare che le normali farine integrali, anche di mulini famosi, consistono quasi sistematicamente di farina Tipo 0 o 00 addizionata di crusca. Solo quelle "biologiche" garantiscono, e non sono sicuro lo facciano sempre, l'uso dell'intero chicco. Il sapore è molto diverso, e per queste ragioni io che non ho in particolare simpatia l'agricoltura "biologica", per alcuni prodotti devo per forza sceglierla.

Le farine integrali hanno un contenuto di proteine maggiore, ma parte di queste derivano dalla crusca, e non contribuiscono alla formazione del glutine. Per questo la lievitazione delle farine integrali è molto più difficile, anche se hanno un assorbimento di acqua molto elevato. Questa è una regola abbastanza generale: meno la farina è raffinata, quindi con maggiore percentuale di crusca, e meno forza ha.

Negli ultimi mesi, a partire dall'inizio del 2012, di fronte ad una specie di stallo nella mia capacità di migliorare la qualità del pane che facevo, ed in particolare per cercare di aumentare l'idratazione totale, ho incominciato ad usare farine di alta qualità. Inizialmente con qualche farina del Mulino Marino (un mulino piemontese artigianale) che sono riuscito a trovare in distribuzione in un paio di negozi, mulino molto reclamizzato da Eataly e che a Roma trovava il suo massimo tifoso in Bonci per le sue famose pizze in teglia nel suo Pizzarium. Successivamente ho potuto sperimentare l'enorme facilità di ordinare in rete le farine di Tibiona (mulino Bongiovanni), un altro mulino piemontese che ha un sito di vendita on-line estremamente fornito, molto efficiente e con qualità garantita delle farine, di cui fornisce tutti i dati necessari. Anche il Mulino Marino ha una vendita on-line, ma non sono ancora rodati come quelli di Tibiona, e ho l'impressione che al momento abbiano qualche difficoltà a mantenere costante la qualità dei loro prodotti, probabilmente per la richiesta diventata improvvisamente molto alta per un'azienda artigianale come erano. Per ora sfrutto sia l'ottimo servizio on-line di Tibiona che la possibilità di acquistare le farine Marino (almeno alcune) al dettaglio.
Il risultato è stato superiore alle migliori aspettative. Non solo queste farine, trattate adeguatamente, come indico nelle varie ricette, assorbono tranquillamente molta più acqua, ma sopportano lunghe maturazioni sia a temperatura ambiente che in frigo, producendo impasti con un sapore decisamente superiore. Ormai credo di non poter più fare a meno del loro uso.
Ecco una panoramica parziale delle farine di grano tenero che uso ora:

La classificazione delle Farine di Grano Tenero in altri Paesi Europei
Anche in altri paesi europei la classificazione delle farine si basa sul residuo di ceneri. In Germania il numero che caratterizza la farina è il numero di milligrammi medio di cenere per ogni 100 gr di farina, mentre in Francia il numero rappresenta i milligrammi medi di cenere in 10 grammi di farina.
Nelle tabelle a fianco sono date le relative classificazioni e una comparazione, ovviamente approssimata, con la classificazione italiana. Le farine di tipo 1 e 2 non sono normalmente disponibili nella distribuzione non professionale, e quindi non ne parlo. Classificazione in Germania Classificazione in Francia

Tipo

Max % di cenere
405

500
550

630
812

900
1050

1200
1600

1800
1700

1400

Italia

Germania

Francia
00

405

45
0

550

55
integrale

1600

150

Voglio aggiungere, perchè è una richiesta che ho ricevuto spesso, che la farina tipo Manitoba non è una denominazione prevista in Germania, non è contemplata nelle classificazioni. So per certo che molte persone che la vogliono usare la ordinano via internet da siti italiani. Ovviamente basta che la "forza" W sia superiore a 350 per riconoscere il tipo di farina, ma nessuna confezione al dettaglio specifica il valore di W.

Farina di Grano Duro

Ho usato spesso anche la farina di grano duro (Triticum Durum) che è normalmente macinato a grana più grossa e dovrebbe più adeguatamente essere chiamata semola.Un macinato a grana più fine è indicata come semola rimacinata, o anche con il termine meno usato di farina.
Il grano duro deriva direttamente dal Farro (Triticum Dicoccum), ed è molto simile nel suo comportamento nell'impasto.
Il grano duro contiene più glutine di quello tenero, e più proteine.
La disponibilità commerciale è molto ampia, perchè la semola di grano duro è la base per la preparazione della pasta, mentre è relativamente poco usata per il pane. Le qualità di grano duro attualmente coltivate sono state selezionate, sia con incroci che attraverso mutazioni indotte artificialmente, sia per aumentarne la resa che per le loro proprietà nella produzione di pasta, ed in particolare per l'alto contenuto di glutine. Anche il colore più giallastro è un prodotto della selezione, perchè i consumatori preferiscono una pasta con quel colore.
Io ho usato la semola rimacinata sia in miscela con altre farine, con percentuali tra circa il 30% e il 50%, sia in purezza. Necessita di una quantità maggiore di acqua ed è più difficile da far lievitare, produce un pane molto più compatto e con alveolatura fine, ma con un colore, un sapore e un profumo estremamente caratteristici.
E' il costituente della DOP Pane di Altamura, che io ho cercato di imitare con il mio Come il Pane di Altamura.
Attualmente sto usando la Senatore Cappelli di Tibiona, ma per questa tipologia di farine si trovano facilmente prodotti di buona qualità anche nella grande distribuzione.

Farina di Segale

Una delle farine meno tradizionali che ho usato più spesso fino a questo momento è quella di segale. E' una farina ampiamente usata per la panificazione nei paesi dell'europa del nord, ma molto poco in Italia.
Poichè ho passato molti periodi in Germania, ho imparato ad apprezzare anche quel tipo di pane, con la consistenza e l'odore caratteristico della segale, e con dei semi o all'interno o in superfice. La segale, originaria probabilmente dell'Asia Minore, culla dell'agricoltura che si è poi diffusa intorno al bacino del Mediterraneo, sopporta bene i climi freddi e aridi, e la sua coltivazione è ora diffusa specialmente nell'Europa centrale ed orientale, come mangime per animali e per la panificazione.
La farina di segale ha un basso contenuto di proteine e quindi di glutine, e perciò lievita con difficoltà. Ma assorbe l'acqua con grande efficienza, permettendo la formazione di un pane ad alta umidità e a lunga conservazione. Il mio Pane Nero di Tipo Tedesco, con il 15% di farina di segale ed il 25% di farina integrale, si conserva per più di 5 giorni.
Credo che non convenga aumentare la dose di segale rispetto a quello che ho usato io, perchè il nostro gusto non è abituato al suo sapore, ma con quella percentuale si ottiene un risultato che a me pare estremamente gradevole, e un poco esotico.
Recentemente sto apprezzando in modo particolare la farina di segale integrale del Mulino Marino, che anche in piccole quantità riesce a dare un sapore veramente unico ai miei pani.

Farina di Kamut®

Uso abbastanza spesso anche la farina di Kamut®, in quantità non molto elevate, in diversi tipi di pane. Il Kamut® è a tutti gli effetti un grano duro, con un maggiore contenuto di proteine dei grani normalmente utilizzati. Regge bene le lunghe lievitazioni e ha un sapore abbastanza caratteristico, profumato di noci e morbido, ed è molto propagandato anche per il suo uso nella produzione di pasta.
Al di là delle solite esagerazioni di chi perde sempre la testa per qualunque prodotto alternativo, e delle leggende di fantasia che descrivono la sua origine del tutto inventata, è un buon prodotto, venduto però a un prezzo molto elevato rispetto ai suoi equivalenti.
La farina di Kamut® è una farina molto affidabile, che sostituisce quella di grano duro, sia usata da sola che nelle misture, dando un gusto particolare sia al pane che alla pasta e che rappresenta sicuramente una novità interessante, usata occasionalmente.

La leggenda e la realtà del Kamut®

Voglio dedicare uno spazio speciale a questa farina, e al grano da cui deriva, perchè è un prodotto commercialmente recente, intorno al quale girano troppe leggende ed alcune falsità che possono anche causare danni.
Credo sia quindi bene che ogni sito che parli del Kamut®, e che sia anche rispettoso della correttezza scientifica delle informazioni che si danno, cerchi di liberare questo prodotto dalla "nebbia ideologica" che troppo spesso lo avvolge.
Incominciamo dal nome: Kamut® è un marchio registrato, non è il nome del grano, e per questo in queste pagine è sempre accompagnato dal simbolo del marchio registrato ®.
La leggenda della sua origine dice che alcuni chicchi di questo grano, trovato in una tomba egiziana, siano stati inviati da un pilota militare americano durante la seconda guerra mondiale ai propri parenti in Montana. Già c'è un disaccordo tra i resoconti di questo evento, poichè alcuni parlano di un pilota stanziato in Egitto, e altri di un pilota che stava in Portogallo. In realtà nessuno sa ufficialmente niente, perchè l'unica conoscenza sicura è che questa qualità di grano duro è stata sviluppata da un certo Signor Quinn, un agricoltore del Montana ma non il supposto ricevitore della manata di grani preistorici, che ha poi richiesto il marchio commerciale, il cui uso impone, per chi lo vuole utilizzare, una serie di regole di coltura biologica.
Il grano di per se stesso sembra essere un ibridizzazione, forse naturale, tra una varietà di Triticum Turgidum Turanicum con un Triticum Turgidum Polonicum, e questo spiegherebbe le iniziali difficoltà di identificazione. La identificazione ufficiale, da parte della società che ne possiede il marchio di distribuzione, lo identifica con un un grano duro "Khorosan", dalla regione orientale iraniana da cui avrebbe avuto origine. La varietà Khorosan, anche se in modo molto minoritario, è ben conosciuta e coltivata nelle zone del Caspio ma anche in Italia, sotto la denominazione Saragolla, però da non confondere con una omonima varietà migliorata di frumento duro ottenuta da incrocio e registrata nel 2004 dalla Società Produttori Sementi di Bologna, ed è anche conosciuta come grano grosso.
Ne consegue che tutti i racconti di un grano di origine egiziana trovato in antiche tombe di faraoni, che ne hanno anche generato il nome, sono pure fantasie, dato inoltre il fatto che un chicco di grano mantiene la sua capacità di germinazione per non più di 200 anni, e che nell'Egitto antico non si è coltivato grano, ma solo farro.
Evidentemente si tratta di una particolare varietà ibridizzata, si suppone naturalmente, e magari rimasta ai margini della selezione storica dei cereali, anche se la sua eccellente qualità pone seri dubbi sul fatto che fosse sfuggito alla continua ricerca di qualità sempre migliori nutritivamente e come resa.
Forse l'aspetto della resa può essere l'unico che presenta una giustificazione credibile al fatto che un cereale di questa qualità sia stato dimenticato e non sviluppato ulteriormente. Di fatto oggi si riescono ad avere rese accettabili per il Kamut® solo in alcune zone del Canada e del Nord America tipicamente predilette dai grani duri. Se per il Kamut® l'ambiente è ancora più selettivo che per i suoi parenti, ci potrebbe essere una spiegazione del fatto che nel suo paese d'origine, l'Iran orientale, e nel resto dell'Euroasia sia stato trascurato.
A parte tutto, tenendo conto delle restrizioni alla produzione che il marchio comporta, si tratta sempre di un prodotto di qualità, che però rimane, a tutti gli effetti, un grano duro. Se la sua identificazione è corretta, e non è invece il prodotto di una ibridizzazione recente, come può sempre essere, viene a far parte di quella categoria chiamata dei semi antichi, perchè utilizzati nel passato, e poi soppiantati dall'uso di varietà di grano di resa maggiore, più adatti a colture intensive, che dominano oggi il mercato internazionale ed il gusto del consumatore. Si tratta di semi come il farro, nelle sue varie specie di farro monococco, dicocco (il farro normale) e spelta, come la segale, l'avena e, in america, il quinoa. Semi che vengono riscoperti sempre più oggi, sia per una maggiore variazione del gusto, sia per la moda dei prodotti rustici, poco industrializzati e spesso a coltivazione cosiddetta biologica.
In questo non c'è niente di male, e il Kamut® trova a ragione il suo spazio, ma bisogna fare estrema attenzione alle facili mitologie quando si entra nel mondo della salute vera, non di quella salutista.
Per tutti i malati di celiachia il Kamut® è altrettanto intollerabile di ogni altro grano, con l'aggravante di un contenuto di glutine superiore

[vedi A.R. Piergiovanni, R. Simeone, A. Pasqualone. Composition of whole and refined meals of Kamut under southern Italian conditions. Chemical Engineering Transactions, 2009, vol.17-891,896]

che dà al Kamut® un contenuto di glutine molto più alto di quello del grano tenero.
Per chi ha allergie e intolleranze al frumento, non identificabile con la celiachia, sul web gira la leggenda che il Kamut®, al pari di altri cereali "antichi" come il farro spelta, sia molto più tollerabile. Una frase si ripete identica come un mantra da sito a sito: da analisi effettuate sembrerebbe che il 70% di persone con intolleranze al frumento non hanno dimostrato intolleranza al Kamut®. Questa frase è spesso copiata pedissequamente, e non ho mai, sottolineo mai, trovato un riferimento a queste analisi cliniche che tutti danno per scontate, forse per una inconscia speranza.
In realtà io ho solo trovato dichiarazioni di enti responsabili che sostengono che il Kamut® e il farro spelta sono cereali come tutti gli altri e non esistono prove che siano meno efficaci nel generare intolleranze.
In realtà le proteine del glutine sono diverse decine, a cui vanno aggiunte le altre che, seppure minoritarie, con quantità minori del 20% delle proteine totali, pure svolgono funzioni essenziali nella panificazione, come le alfa-amilasi e beta-amilasi, e che possono essere fonti di intolleranze che non dipendono dal glutine. Le intolleranze generiche al frumento possono facilmente dipendere da una o più di queste proteine, che sono contenute in modo molto variabile dai vari cereali, con variazioni anche notevoli tra le diverse specie di uno stesso cereale. Questa variabilità può ampiamente spiegare gli effetti personali di disfunzioni ascrivibili ad intolleranze al frumento che possono essere meno sensibili per le specie di cereali che sono state meno utilizzate negli ultimi secoli.
In ogni caso, nonostante le mie ricerche, non sono riuscito a trovare traccia di una documentazione scientificamente accettabile del fatto che il 70% di persone che soffrono intolleranze per il grano normale non le soffrono per il Kamut®.
E' quindi possibile che il Kamut®, come il Farro, sia meno efficace nell'indurre intolleranze, ma questo deve essere verificato a livello personale, e non è un aspetto generale da dare per scontato. Troppi siti sul web danno invece un'informazione sbagliata, inducendo al consumo del Kamut® quasi fosse un medicinale. Ma questo è il semplice risultato di una società sempre più ascientifica che sta scivolando nell'antiscientifico.

Farina di Farro

Come ho detto all'inizio di questa pagina, il Farro si presenta in tre distinte varietà ed è un parente molto stretto del grano, che in effetti deriva direttamente dal Farro. Il Farro è definito un "cereale vestito", in quanto dopo la trebbiatura rimane rivestito dagli involucri glumeali, ed è necessaria una decortazione meccanica per liberarne il chicco.
Il Farro Piccolo, o Monococco (Triticum Monococcum o Einkorn in Inghilerra e Germania) è un diploide (con 14 cromosomi), ed è probabilmente il primo cereale coltivato nella storia umana, quasi certamente nella Turchia meridionale, da cui si è espanso negli immediati d'intorni, privilegiando le zone a clima più freddo. La varietà selezionata per la coltivazione umana è ancora rustica a sufficienza da adattarsi a terreni aridi e a climi asciutti, ma ha sempre avuto una bassissima resa, che lo ha reso quasi sempre una coltivazione minoritaria.
Il Farro Piccolo può essere coltivato in condizioni che risultano difficili per tutti gli altri cereali moderni, e ha una notevole resistenza naturale ai parassiti, inoltre è abbastanza accertato un suo minore effetto sulla mucosa intestinale dei celiaci, rendendolo se non adatto a tutti, almeno più tollerato nei casi meno gravi. Per tutto questo si stanno cercando di sviluppare delle varietà più produttive, conservando i suoi aspetti positivi, per magari portarlo ad essere una conveniente coltura di nicchia per situazioni particolari. Al momento però la sua commercializzazione è estremamente ridotta.

Il Farro (Triticum Dicoccum o Emmer in Inghilterra e Germania) è un tetraploide (con 28 cromosomi) che si è sviluppato dall'ibridizzazione tra due varietà selvatiche di Triticum e ha una resa molto maggiore del monococcum. Si è diffuso sia in Asia Minore ed in Egitto che intorno al Caspio, da cui poi è arrivato nell'Europa centrale e meridionale. E' stato l'alimento principale dell'Egitto e di Roma, soppiantato solo molto tardi dal grano grazie alla sua maggiore facilità di separazione dalla cuticola e una maggiore resa complessiva. Il grano duro è in effetti un diretto discendente del farro.
Pur se soppiantato dal grano, il Farro conserva in Italia delle zone di produzione di qualità. Il suo uso nella panificazione è solo occasionale, anche se la sua lievitazione è ragionevole, allo stesso livello del grano duro. Il suo uso si sta però diffondendo, specialmente in chicchi per zuppe di vario genere, ma anche come farina per pane e pasta. Le mie prime prove, come la Pagnotta al Farro o la Baguette al Farro, mi fanno ritenere interessante l'uso di questo cereale che dà un sapore rustico e gradevole al pane.

Il Farro Spelta, o semplicemente Spelta (Triticum Spelta), chiamato anche Dinkel in Germania, è un esaploide con 42 cromosomi come il grano tenero) derivante da una ibridizzazione di una varietà di dicoccum con una varietà selvatica (Aegilops squarrosa). In realtà il grano tenero (Triticum Aestivum) è un parente molto stretto dello Spelta, e gli assomiglia molto cromosomicamente.
Lo Spelta ha avuto origine intorno al Mar Caspio e si è sviluppato nell'europa centrale e settentrionale, poichè privilegia i climi freddi. In Italia è poco coltivato. Nelle sue regioni di coltivazione è stato usato più che altro per alimentazione animale, anche se è possibile usarlo nella panificazione.
Sta diventando ora un prodotto di moda, ed è diffuso nel commercio on-line delle farine, ma viene spesso chiamato semplicemente Farro, generando una grossa confusione con il Farro Dicocco, che è in realtà molto differente in sostanza e in proprietà. Per la panificazione lo Spelta non si discosta molto dalle proprietà del grano tenero.

Farina di Grano Saraceno

Il Grano Saraceno (Fagopyrun esculentum) non è una Graminacea, ma appartiene alla famiglia delle Polygonaceae. Nonostante sia abbastanza ricco di proteine, non contiene glutine, quindi non può essere usato per la panificazione lievitata in forma pura o predominante, ma può essere aggiunto ad una miscela di farine di forza adeguata. La sua origine è probabilmente dalle pendici himalayane, ma è diffuso allo stato selvatico in ampie zone siberiane. E' usato per l'alimentazione umana sia in chicchi, dalla forma triangolare, che in farina ed è ricco di tutti gli amminoacidi essenziali, compresa la lisina che è scarsamente presente nei cereali. La mancanza di glutine lo rende usabile da parte dei celiaci, ma bisogna anche tener conto che è di per se stesso un potente allergene, per cui può indurre reazioni allergiche anche molto pericolose.
In Italia è normalmente utilizzato per la produzione dei pizzoccheri e della polenta taragna, mentre nella panificazione ha un uso marginale, ma trova il suo spazio per il sapore caratteristico che fornisce anche in dosi moderate.

RispondiCitazione
Pubblicato : 14/10/2012 09:37
Condividi:
Translate »